"Penso quindi che lo sforzo richiesto dal nostro programma culturale dovrebbe essere quello stesso che ci fa pregare, lavorare ed amare. Come sanno fare i fucini: con forza e con gioia."

Scritti fucini, Giovanni Battista Montini

venerdì 17 gennaio 2014

COMUNICATO STAMPA - 17/01/2014


Il Gruppo FUCI "Giuseppe Toniolo" di Perugia esprime tutta la sua gioa per la creazione a Cardinale di S.E. Mons. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia - Città della Pieve, e ringrazia vivamente Sua Santità per questo dono fatto alla realtà ecclesiale umbra.

Vogliamo inoltre manifestare, con filiare rispetto, tutta la nostra vicinanza e tutto il nostro affetto all'Arcivescovo, che in questi anni non ha mai mancato di sostenerci e di incoraggiarci nelle nostre iniziative e nel nostro impegno al servizio della Chiesa.

IL PRESIDENTE
Fabrizio Saracino

venerdì 3 gennaio 2014

Cineforum: Lo scafandro e la farfalla

Carissimi amici, 
siete tutti invitati mercoledì 22 gennaio 2014 per la visione del film "Lo scafandro e la farfalla". L'appuntamento è per le ore 21:00 nella nostra sede (Casa delle Associazioni) in via Antinori 4.


L’uomo travolto da un’improvvisa, terribile tragedia che scopre la sua vera natura e il senso più profondo della vita 

Premio per la miglior regia a Cannes, quattro nomination agli Oscar. Il bellissimo e commovente “Lo scafandro e la farfalla” del regista americano Julian Schnabel, racconta in 112 minuti la vicenda drammaticamente reale del francese Jean-Dominique Bauby. Colpito da ictus all’età di 42 anni, Bauby (autore di successo e redattore capo della prestigiosa rivista francese Elle) rimase poi vittima di una rara sindrome che lo paralizzò dalla testa ai piedi rinchiudendolo nel suo stesso corpo, come in uno scafandro. L’uomo dettò la sua autobiografia, da cui è tratto il film di Schnabel, in poco più di un anno utilizzando solo il battito di una palpebra, l’unica parte del corpo che era in grado di governare, perché per ogni altra funzione dipendeva dalle macchine. Un calvario di 16 mesi (Bauby si spense il 9 marzo 1997, dieci giorni dopo la pubblicazione del volume), ma anche un incredibile inno alla vita, vista e vissuta attraverso quell’occhio capace di esprimere tutta la profonda essenza di un uomo così umiliato e imprigionato, ma libero come una farfalla, nei battiti di quelle palpebre.
È possibile che l’essere umano travolto da un’improvvisa, terribile tragedia scopra la sua vera natura e il senso più profondo della vita? Dobbiamo ammalarci ed esplorare i meandri dell’inferno perché ci appaia un angelo pronto ad aiutarci? Parte da queste domande Schnabel per dare vita a un autentico capolavoro intriso di straordinaria umanità, poesia, persino ironia, com’era nelle corde dello sfortunato Bauby, interpretato dal bravo Mathieu Amalric. Ma c’è anche profonda disperazione. Come quando, appena appreso a comunicare con il movimento delle palpebre, le sue prime parole sono: “Voglio morire”. “Parole oscene e irrispettose” secondo la sua fisioterapista (Emmanuelle Seigner) che a quell’uomo sta dedicando tutta se stessa. E Bauby scoprirà come la vita valga la pena di essere vissuta comunque.
Le infermiere, la moglie, i figli (delicatissima la scena del mare), gli amici, tutti si adattano alla sua nuova condizione e lo incoraggiano ad andare avanti in un viaggio che riserva anche momenti di ironia, non certo inaspettati per chi ha conosciuto direttamente certe situazioni di fragilità estrema: perché la capacità degli uomini di trovare risorse positive dentro se stessi è davvero infinita. Commovente tra le altre scene, a volte amare a volte dolcissime, anche un altro momento forte della pellicola: la telefonata con l’anziano padre invalido, disperato per non poter stare accanto al proprio figlio.
Un tema, quello dell’intangibilità e sacralità della vita, spesso tabù sul grande schermo o affrontato piuttosto per ribadire il diritto all’eutanasia, è trattato da Schnabel in maniera sorprendente. Il regista ci ricorda infatti che anche un’esistenza apparentemente così miserabile può ancora riservare gioia e serenità, emozioni e sogni da cercare tra memorie e immaginazione. Intrappolato, con il protagonista, tra membra inerti per quasi un’ora, lo spettatore assiste quasi con l’occhio stesso di Bauby (e di Schabel) alle vicende che si dipanano sullo schermo con quello stesso sguardo, ascoltando la voce di un uomo che nei suoi monologhi interiori si chiede se quella si possa chiamare vita, che rimpiange cose mai dette, gesti mai compiuti, amore mai dato, la gioia perduta senza però mai perdere, persino, un innato senso dell’umorismo.
Un film importante, anzi necessario: in tempi di dibattiti gridati e furenti rivendicazioni di presunti “diritti” di morire, di battaglie ideologiche giocate sul concetto scivoloso di “qualità della vita”, il film è un invito a fare silenzio. Di fronte a qualcosa di più grande.


info: presidente@perugia.fuci.net